top of page

Curzio Malaparte

I Ciociari non basta guardarli, per poterli capire. Se ti accontenti di guardarli con gli occhi, ti appaiono duri, testardi, chiusi, d’intelligenza tutta fisica. Bisogna, per poterli capire, conoscere di quale sangue son caldi, qual è la storia delle loro città, dei loro borghi, delle loro famigli. Storia remota e misteriosa, di popoli tristi e solitari, come testimoniano l’acropoli di Alatri e le tombe scavate nel tufo in fondo alle valli. Ma subito ti appariranno quali realmente son, appena saprai che furono i migliori soldati del mondo e che non v’è fanteria più di loro dura e testarda.

Tutto qui è fatto di terra, la comune misura son la zolla e la pietra, gli abitanti stessi sembrano impastati di terriccio per quel colore bruciato della pelle, per quella luce densa negli occhi, per quel modo di camminare. Parlano con la bocca piena di terra.

Nell’andatura son lenti e forti, non già pigri nei gesti, ma, tardi nel movere della testa e delle spalle, rivelano una dignità naturale, senza grazia, forse, ma anche senza superbia. Sebbene non si curino di te, né ti guardino. Sanno, per antica esperienza, che tu non sei se non un incidente del paesaggio, un corpo estraneo, un momento gratuito della loro storia. E se avvertono per caso la tua presenza, l’avvertono, non con gli occhi, ma col fiuto e, allora alzano la fronte, ti osservano senza curiosità né meraviglia, par che cerchino di conoscere l’odore del tuo sangue, del tuo popolo, della tua civiltà. Cauti nel rispondere, non ti rivolgono mai la parola per primi, neppure il saluto. Non sono un popolo servile. Non hanno padroni, né amici. E questa, che presso altra gente può essere timidezza o naturale soggezione, in loro è fierezza, dignità, quella prudenza che vuol dire rispetto per se medesimi, più che sospetto d’altrui.

Dall’alba al tramonto lavorano, nei pascoli, nei campi, nelle oscure botteghe affacciate su viuzze tortuose. Raro è che cantino, lavorando. Per riposarsi alzano il capo, rimangono un momento diritti con la vanga o la roncola in pugno, seguendo con lo sguardo le nuvole erranti in un cielo terso e remoto. Poi curvano nuovamente la schiena, si rimettono al lavoro in silenzio. Tanto hanno un profondo e severo senso del lavoro e della fatica. Nei sentimenti sono tenaci e violenti. Popoli in cui le passioni tengono luogo di virtù. Ma la loro violenza non nasce da una mancanza di virtù, né da instabilità o pazzia; piuttosto dalla gravità che pongono in tutte le cose, e dall’offesa che risentono di ogni infedeltà, sia pur minima. Nasce, direi, dalla loro misura, dalla dura regola della loro vita. E’ il contrappeso della loro severità.

 

Camminano lente e austere, col canestro sul capo, dietro l’uomo che cavalca in groppa al somaro. Gli alti busti di raso viola o di lana scarlatta fanno i loro fianchi sontuosi e fermi. Un’andatura, anche nelle bambine, grave e materna. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, o levate sul capo a reggere l’anfora o il canestro, seguono un ritmo interiore, di cui non v’è traccia nell’immoto aspetto del viso.

 

Curzio Malaparte

bottom of page